Recensione: “Potevo essere io”

potevo essere io

Inizia alla grande la stagione teatrale 2021/2022 di deSidera Teatro Oscar: “Potevo essere io”, testo di Renata Ciaravino con Arianna Scommegna, è applaudito calorosamente dal pubblico che festeggia così il ritorno a teatro.

Spettacolo di repertorio (produzione ATIR) vincitore del bando NeXtwork 2013, nonostante dal debutto siano ormai trascorsi alcuni anni (per non parlare dei cambiamenti dovuti alla pandemia COVID-19), ancora oggi mantiene la sua energia e la sua efficacia.

Le premesse sono chiare: un cortile del quartiere Niguarda, un bambino e una bambina. Crescono, attraversano l’adolescenza, diventano adulti. Il punto di partenza è lo stesso, i finali no. “Potevo essere io”… e invece è andata diversamente. Eppure erano amici, figli della periferia, nessuno dei due viene risparmiato dalle miserie di famiglie fragili e problematiche, entrambi conoscono gioie ma soprattutto dolori, la vita con loro non è molto gentile… ma quella stessa vita, gli incontri, le scelte li conducono a due destini differenti.

A raccontare la storia è la bambina ormai diventata grande, interpretata magistralmente dalla camaleontica Arianna Scommegna (vincitrice premio Hystrio 2011 come migliore interprete), la quale ricorda e dà corpo anche alle altre persone/personaggi che popolano queste esistenze fatte di sottomarche, abbandoni e desideri soffocati: l’allenatore di kick boxing, la guardarobiera di una discoteca, una stella emergente del pop croato, la perduta ragazzina del primo amore e tante altre, un caleidoscopio di incontri che influiscono sulle vicende dei protagonisti, creature spesso disperate (mai però derise o trattate con supponenza) che ci lasciano infine un sorriso.

L’autrice Renata Ciaravino riesce infatti ad accostarsi alla tragedia con delicatezza, la malinconia della sua scrittura tinge di sfumature tenere e spesso anche comiche ed ironiche le vicende narrate, non particolarmente originali e talvolta un po’ stereotipate ma proprio per questo esatte nella descrizione di quella banalità, cattiva e squallida, che i personaggi devono affrontare ogni giorno.

Anche l’allestimento scenico proposto da Maria Spazzi (un muro, una panchina di pietra grezza, una predella) e i video a cura di Elvio Longato supportano questa visione: uno spazio scarno e grigio, il susseguirsi delle proiezioni di una schiera di palazzoni del Nord Italia, una carrellata di ricordi che restituiscono la desolazione della periferia e allo stesso tempo esaltano la prova d’attrice della Scommegna la quale, con pochi oggetti ma soprattutto grazie alle sue trasformazioni fisiche e vocali, dà concretezza e verità a storie che resterebbero altrimenti anonime e si perderebbero nelle vie di periferia. In tutto questo, riecheggiano le musiche da karaoke e disco anni Ottanta (scelte musicali di Elvio Longato) mentre le luci accompagnano con efficacia l’evoluzione delle storie (Carlo Compare).

La forza dell’interpretazione della Scommegna che, proprio in virtù di questo contrasto, esibisce ancor di più la fragilità del proprio personaggio; l’immersione profonda nel monologo costruito su misura per lei dalla Ciaravino; la frontalità semplice e diretta suggerita da Serena Sinigaglia (supervisione registica): questi elementi rendono piacevole e convincente la rappresentazione, arrivando persino a provare un moto d’affetto per questi uomini e queste donne e pensando anche che, in fin dei conti, “potevo essere io”. Prendendo in prestito le parole della Scommegna, vi consigliamo dunque questo “spettacolo tragicomico sulle vite marginali, un omaggio alle periferie geografiche e dell’anima, uno spettacolo divertente e toccante dedicato ai bambini e agli adolescenti che siamo stati, agli adulti che vorremmo essere ma non riusciamo.”

Marzorati

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