Una catapulta di divertimento, una giostra di insegnamenti
Polisignificanza che sposa il multiverso. Un grande show. Davvero, il ritorno a bomba dello spettacolo, al teatro Teatro Repower, prodotto da Razmatan Live e diretto da Stefano Genovese, non solo permette di gustarlo a chi se lo fosse perso, ma crea un effetto di eccolo di nuovo, particolarmente piacevole. Racconto, musical, danza, performance, delizie acrobatiche. Un Piccolo Principe fusion, servito, con un saporito piatto unico.
Il messaggio che lancia è tuttavia lo stesso, non viene annacquato, né travisato, anzi, il paradoso, sta proprio in questo: il caposaldo cardine della piecee, l’essenziale è invisibile agli occhi, è reso visibilissimo, da questa macchina scenografica incalzante, stra immaginifica, che fa letteralmente esplodere gli occhi.
L’effetto? Quello di un grande marchingegno sfavillante, non solo ricreato vivamente e teatralmente, ma per veicolarne contenuti, anche contemporanei, come se questa versione sussurrasse: “Guardate, che potete osare ad essere piccoli ma essere al contempo sommi custodi di una ricchezza inaudita, anche oggi, in mezzo a tanti, variegati ed eterogenei contenuti“. Si ha l’impressione, che le parole del romanzo fuoriescano dal romanzo stesso, senza farne una rielaborazione forzata ed in fretta e furia, da recita di seconda media imbastita da una prof severa, che ha fatto mandare a memoria, lo spartito, ai suoi alunni. Si, dopo anni di interpretazioni simili e di riduzioni del lavoro di Saint – Exupery ad aforismi da baci perugina o da biscottini post desco presso i ristoranti cinesi, l’opera aveva un sacrosanto bisogno (anche per festeggiare i suoi ottant’anni compiuti il 6 aprile 2023) di questa sorta di fissione nucleare, in grado di generare tanti frammenti e tutti, di carica positiva. Roboante è in apertura l’aereo, che ti piomba addosso. Plastico, quasi cinematografico, ne è il pilota, incarnato da Davide Paciolla, ruolo che nella vita, ricopriva, lo stesso Exupery, plastico e profetico è il piccolo principe, dove Alessandro Stefanelli si alterna con Gabriele Tonti, plastica ed onirica è la rosa, consapevole della sua unicità ma così desiderosa, quasi desiderante di mille attenzioni. Una rosa, quella riprodotta da Claudia Portale, che ricorda l’Eros del Simposio platonico, amante ma sempre manchevole di amore :di petali e di foglie, la sua veste, evoca un po’ la nascita di Venere di Botticelli, un po’ una canterina ninfea. Canta e coinvolge, dolcemente rapisce. Canta un passo della Carmen di Bize’: “L’amour est un oiseau rebelle” L’amore, è un uccello ribelle. È un teatro vivente, la rosa emana olfattivamente la sua fragranza, che si sparge, musica per le narici, tra il pubblico, che si trova, ogni tanto, catapultato a contatto con gli attori, che volentieri cercano il giocoso “A tu per tu” con lo spettatore presente. E’ la rosa depositaria, di una verità esistenziale: “Se voglio conoscere le farfalle, sembra che siano così belle, devo pur sopportare qualche bruco”.
Nuovi usi dunque per l’ottantunenne materiale libresco e tutti questi usi, dal linguaggio del mimo alle piroette da Jongleur de Notre Dame, fruibili, senza noia, ma con curiosità, sempre più crescente. Parte preponderante, ha l’intarsio di musiche scelte. Sulle note di Space Oddity di David Bowie, planiamo, insieme all’aviatore, su una duna nel deserto, che è il deserto di ogni vita quando ancora non trova qualcuno o qualcosa. L’ atterraggio, certo, è di ventura, ma atterra, di sicuro, tra l’attenzione dei presenti. Ma chi farà volare l’aviatore in panne? Non la scienza esatta astronomica ma la conoscenza ed il rapporto col piccolo principe, che gli rivela pianeti sconosciuti e che gli consegna un sapere dei saperi, la sapienza del cuore, invitandolo, a guardare le cose, con gli occhi di un bambino, in un graduale abbondono della mentalità del mondo. Uno dopo l’altro, in grande stile, quasi fossero star dell’ Nba, ecco potentemente sprigionati quegli anti modelli sulla strada della felicità: un uomo d’affari, saltimbanco provetto, che crede di possedere le stelle (“Più ne ha più ne vuole avere” racconta il piccolo principe”) inscenato da Giulio Lanfranco; un vanitoso prim’attore che divide in cori la platea per farsi dire: “Brrraaavoo“, reso da Matteo Prosperi. Un ubriacone, sempre Lanfranco, dalle mille braccia, che fatica ad impugnare la bottiglia sulle note sconsolate di un “Azzurro” senza le parole. Un re dorato, ancora Prosperi, che sa solo dare ordini: “Ogni giorno ordino al sole di tramontare alle 19.40″, un lampionaio, Vittorio Catelli, con tanto di cresta che sale e scende ossessivamente dal palo del lampione, spento, riacceso e rispento, mentre s’interseca, coi suoi gesti sincronizzzati e coloratissimi, la melodia di Volare. Un geografo, di nuovo Prosperi, che dichiara non essere un esploratore. Un divertente lunapark accade, nella cinesi acrobatica e circense di questi protagonisti, tristi solitari y final come un romanzo di Osvaldo Soriano. Ognuno è riproduzione di un vizio, di un fardello che attanaglia l’umanità: la corsa sfrenata al possedere, il bisogno di materia, la mediocrità, la stanca ripetitività, l’abitudine prolissa, che non sa più scoprire nulla.
Non è un caso se l’unica creatura che chiede di essere curata, non sia un uomo ma un animale, una volpe, portwta sul palco nella persona di Ludovico Cinalli. “Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Tu per me non sei che un principe come tanti. Ma se tu miaddomestichi, avremo bisogno l’uno dell’altra “. Nasce l’amicizia, quella che al contrario della macchinosa sovrabbondanza delle azioni degli uomini prodotte per avere, vive per donare, come attesta, puntuale, il pezzo musicale, la Cura di Battiato. Solo se si è piccoli si riesce a far spazio a chi è piccolo e ad iniziare a scrivere, insieme, tutta un’altra storia. Storia riprodotta, in modo azzeccato e godibilissimo, da questo caleidoscopico Piccolo Principe. Brividi e ricordi. Carezze e consigli. Divertimento ed apprendimento.
Luca Savarese
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