Recensione: “Frankenstein”

Frankenstein
foto di Luca Del Pia

Forse un domani sarà la normalità, ma oggi appare ancora inusuale (nonostante qualche esperimento sia già stato fatto) arrivare in teatro e vedersi consegnare delle cuffie wireless da indossare durante lo spettacolo. Frankenstein di Ivonne Capece, andato in scena al Teatro Fontana dal 28 al 31 ottobre, è infatti uno spettacolo con tecnologia audio binaurale, ovvero una tecnologia che permette di avere un audio tridimensionale. Un effetto audio che permette allo spettatore di immergersi completamente nella scena, sentendosi parte integrante della stessa. Una tecnologia che permette di farti passare dalla lontananza tra la platea e il palco, al sentire la protagonista sussurrarti all’orecchio come ti fosse alle spalle, per poi sentire i suoi passi allontanarsi sul fondo della sala e tornare di corsa fino a risalire sul palco, oppure farti sentire al centro di un incrocio con le auto che ti passano a pochi centimetri di distanza. Viene spesso infatti, l’istinto di voltarsi per vedere cosa siano i passi o i rumori che si sentono alle proprie spalle.

In scena Laura Palmeri, nei panni di Mary Shelley, si interfaccia in modo puntuale e perfettamente sincronizzato con i video proiettati sul grande telo che fa da fondale interattivo e principale elemento scenico dello spettacolo, insieme a una testa di manchino che rappresenta la Creatura del Dottor Frankenstein. Sulla scena la protagonista si rapporta con i video nei quali appare, in una cornice di quadro, la madre, interpretata da Giuditta Mingucci, e la ballerina Lara Di Bello, che dà corpo alla nascita della Creatura con una danza di movimenti scomposti e dinoccolati che restituiscono una sensazione di inadeguatezza, di fragilità. 

Creatura che nell’idea di Capece rappresenta la stessa opera di Mary Shelley, dove si legge il suo rapporto conflittuale con essa. L’autrice infatti cerca in più occasioni di sminuirne la maternità e di ridurre la portata dello stesso manoscritto definendolo una semplice novella scritta per gioco, divenuto un romanzo per il solo volere del marito.

Affascinanti e di grande impatto visivo le proiezioni video, tanto quelle riflesse sul grande fondale, quanto la straordinaria trovata di trasformare il libro, che viene più volte preso tra le mani della protagonista, in uno schermo su cui si riflettono immagini che gli vengono proiettate con estrema precisione e tecnica impeccabile.

Questo allestimento racconta un’epoca in cui essere donne e artiste poteva essere un serio problema, in cui ci si poteva sentire “mostruose” se si partorivano libri invece di figli o se si conviveva con un uomo invece di sposarlo. Racconta di un’epoca in cui una Creatrice teme la genialità della sua Creatura ed è costretta a giustificare la grandezza delle sue ambizioni.

La protagonista ci accompagna gradualmente all’interno dell’opera. Con un suggestivo movimento scenografico a vista è l’attrice stessa che toglie strati al fondale, come ad entrare sempre più in profondità nell’opera, partendo dai ricordi offuscati di una madre venuta a mancare troppo presto, passando per la limpida chiarezza del testo, seppur tormentato e rifiutato, fino a trovarsi all’interno dello stesso, nel suo significato più profondo, in cui la diversità  non venga più percepita come mostruosa. La Creatura era bellissima: il dottore ha sbagliato nel momento in cui ne ha avuto paura. Perché ha avuto paura di se stesso, del suo meglio  e del suo futuro.

Enea Montini

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