Polli da volo: ospiti Daniela Airoldi Bianchi e Teatro Officina

teatro officina

l Gallus Sinae è un uccello domestico, allevato per moltissimi scopi, meglio noto come “pollo”.
È però celebre per non essere in grado di volare. Se non per piccoli tratti.
Per qualche piccolo slancio di necessità.
Il “Pollo da volo” è invece una razza strana, socievole, selvatica, che sfida la natura.
Cercherà sempre, giorno per giorno, di volare.
Anche se gli allevatori, da oltre un recinto lontano, continueranno ad urlare che non serve.
La rubrica “Polli da volo” nasce con l’intento di sostenere e dare voce agli esercenti dello spettacolo, messi
in difficoltà dall’attuale, terribile, tragedia che sta colpendo tutti. Tutti costoro, sono Polli da volo.
Se per oggi non si vola, domani si vedrà.

PUNTATA 10: OSPITI DANIELA AIROLDI BIANCHI DI TEATRO OFFICINA

Chi siete?
Teatro Officina nasce nel 1973 a Milano in Viale Monza 140 – ed erano anni in cui un’aria particolare attraversava la società – entro l’esperienza di quello che allora si chiamava “il decentramento teatrale” (che Paolo Grassi stesso sostenne con il Teatro Quartiere) mostrando di avere fin da subito nel suo DNA una vocazione al lavoro sociale sui territori. Nello specifico, Teatro Officina si occupa – soprattutto negli ultimi vent’anni – di contesti di fragilità attraverso la pratica del teatro sociale, mettendo in scena spettacoli che coinvolgono in prima persona i testimoni che ha incontrato e dai quali – attraverso il lavoro autobiografico realizzato tramite interviste e incontri – raccoglie materiale drammaturgico: i contadini della Lomellina nel 1997, gli ex-operai di Sesto San Giovanni espulsi dalle grandi fabbriche nel 1998, e dal 2005 ad oggi i migranti e rifugiati politici ospiti nei centri d’accoglienza. Costruisce poi eventi finali (spettacoli spesso fatti insieme ai testimoni) che diventano un’occasione di restituzione ai cittadini e che generano una nuova forma di coesione sociale. Abbiamo lavorato tantissimo su Milano (che a riconoscimento di ciò ci ha assegnato l’Ambrogino d’oro), fin dagli anni ‘90 in cui organizzavamo attività di teatro nei cortili delle case popolari per arrivare fino ad oggi, agli spettacoli realizzati nelle mense dei poveri. La nostra piccola sala teatrale sta – non a caso, direi – in un cortile di case popolari sul Viale Monza, nel quartiere di Gorla; qui noi realizziamo una stagione teatrale, teniamo da più di 40 anni una scuola di formazione teatrale e naturalmente i Laboratori di teatro sociale con diverse utenze, che vanno dagli anziani, ai senza dimora, ai facilitatori territoriali, fino ai giovani a rischio. Abbiamo la fortuna di avere un direttore artistico di grande esperienza nel teatro sociale, Massimo de Vita, diplomato al Piccolo con Strehler, affiancato da una generazione intermedia di quarantenni/cinquantenni fatta di operatori e attori come Enzo Biscardi, Stefano Grignani e me, e poi parecchi giovani attori, che lavorano nelle nostre produzioni teatrali. Per cui, diciamo che c’è una dialettica generazionale e un passaggio di saperi molto interessante dentro la nostra equipe.

Qual è la vostra poetica artistica?
Il nostro Direttore, Massimo de Vita, ci ricorda spesso un titolo di una nostra Stagione teatrale di qualche anno fa, che ben riassume la nostra cifra stilistica: “La voce degli altri”. Intendendo con ciò dire che il nostro mestiere di palcoscenico si dovrebbe nutrire attraverso gli incontri con gli altri, con le persone e con la loro vita. Esiste una “responsabilità del dire” che l’attore prende su di sé – come compito, o come monito almeno. L’attore si rende tramite fra il pubblico e una storia, sia quella incarnata in una persona concreta da noi incontrata o in un testo che ci proviene dalla tradizione teatrale. In questo senso proverei a dire che la nostra estetica cerca di intrecciarsi con la dimensione etica, con una responsabilità che ci porta a sporgerci, ad affacciarci sul mondo degli altri, cercando di evitare il rischio dell’autoreferenzialità. La scommessa di questa nostra poetica sta nel far affiorare nella mente dello spettatore degli interrogativi senza però mai indicare noi le risposte, convinti come siamo che un pezzo di “lavoro culturale” lo debba fare il pubblico stesso, soggetto attivo del teatro.

Come state vivendo la situazione attuale dovuta alla quarantena?
Lo scenario che viviamo è quello comune a tutti i teatri milanesi: sala chiusa, stagione interrotta, scuola di teatro bloccata. L’unica differenza direi che è – occupandoci noi di teatro sul territorio – alcune attività restano vive e concrete: abbiamo – ad esempio – un nostro progetto sulla creazione di una nuova figura di volontario sociale, il facilitatore territoriale, che continuiamo a svolgere, facendo naturalmente incontri sulle piattaforme online.

Al momento state offrendo delle proposte alternative allo spettacolo dal vivo?
Trasmettere spettacoli teatrali in video non ci è sembrato un bel modo di servire il teatro. Abbiamo preferito trasmettere settimanalmente in streaming dei video con un taglio documentaristico, in cui raccontiamo e mostriamo il nostro lavoro sociale dal punto di vista metodologico, illustrando il tipo di approccio che abbiamo e lo sguardo che cerchiamo di appoggiare sulla realtà, sia essa l’umanità concreta di uomini e donne che incontriamo, che il fare teatralmente intorno ad un tema.

Cosa vi augurate per il futuro, per voi operatori dello spettacolo?
Che questa situazione – mai verificatasi prima – diventi la possibilità di ripensare certi meccanismi di sostegno ai lavoratori dello spettacolo. Il teatro sembra relegato in una invisibilità, professionale ed economica: è divenuto una realtà residuale dentro una società in cui invece fare comunità culturale potrebbe rivelarsi una strategia necessaria per vivere, e non solo per sopravvivere.

Fate un saluto al pubblico e dei ringraziamenti a vostra scelta.
Il saluto al pubblico è un “Arrivederci a presto” perché – almeno per pochi spettatori ben distanziati – speriamo di poter realizzare qualcosa in estate, facendo ad esempio spettacoli nei cortili con le persone che lo guardano dalle finestre delle loro case. Ci faremo venire idee concrete, vedrete. I ringraziamenti vanno ad alcune Istituzioni filantropiche, a Fondazione Cariplo ad esempio, che ha deciso di non abbandonare chi è impegnato in progetti sociali; e una giusta menzione andrebbe fatta anche all’Assessore alla Cultura del Comune di Milano, Filippo del Corno, che ha cercato di costruire un Tavolo congiunto con molte altre città italiane per porre al Ministero una serie di richieste per la salvaguardia del Settore, comprese anche le realtà più “sommerse”. Grazie a voi, che ci avete accolto e ospitato.

Intervista di Jasmine Turani
Grafica di Ginevra Lanaro

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