PhoebusKartell: la verità nascosta e sottesa, ma poi nemmeno tanto

phoebusKartell

Il 4 marzo è andato in scena al Teatro Menotti PhoebusKartell della compagnia ServoMuto Teatro.

Alcuni grandi rappresentanti di aziende, provenienti da diversi stati, si ritrovano a Ginevra per spartirsi e organizzare il mercato mondiale delle lampadine. Con la furbizia e scaltrezza di chi è del mestiere ed è abituato a raggiungere l’obiettivo senza preoccuparsi dei mezzi, i produttori si accordano per un cartello segreto, il PhoebusKartell, che gli permetterà di mettere mano al controllo completo del mercato, diminuendo, per altro, la vita media delle lampadine più del doppio. I produttori sono un gruppo estremo, fagocitante, ipocrita e arrivista. Sembrano quasi delle maschere vuote, interessate allo scambio di favori, ai giochi di potere – mors tua vita mea – al controllo, e, ovviamente al guadagno, incuranti di ogni qualsiasi aspetto di ripercussione umano.

Di contro, sono presentati altrettanti operai lavoratori nelle fabbriche di lampadine, che vivono la condizione dei lavoratori dei primi anni del secolo, che ServoMuto Teatro nomina da Numero1 a Numero6. Solo Numero2 prova a ribellarsi alla condizione in cui si trova, partecipando a assemblee operaie e proprio per questo, nel momento in cui si espone con i compagni, viene tacciato come “comunista” e isolato: la società, chiusa e radicata in tutti i suoi strati, non ammette dissensi, né diversità di pensiero.

Nell’evolversi delle situazioni il cartello è minacciato dal personaggio del “Professore” che – a differenza degli interessi delle aziende – difende il suo credo nel progresso scientifico. Infatti il Professore è riuscito a creare una lampadina con filamenti in carbonio della durata di 100 mila ore e, agli occhi dei detentori dei mercati, tutto ciò non è ammissibile: il problema deve essere risolto con ogni mezzo, bisogna assolutamente recuperare gli appunti del progetto, se non addirittura la licenza “in un modo o nell’altro” per poter mantenere le cose come stanno.

PhoebusKartell presenta il gioco meschino delle grandi aziende che si spartiscono i mercati e allude – senza mezzi termini – al fatto che questo è un caso esemplificativo, perché il primo, ma sicuramente viene ancor oggi reiterato.

I vincitori del Premio Scintille sono una compagnia giovane, fresca, piena di energia e brillante. I personaggi negativi sono presentati in modo grottesco quasi nevrotici, mentre gli operai, il Professore e il suo assistente, più vicini al “popolo”, vivono di realtà e delicatezza. Gli attori si alternano tra servi e padroni cambiando continuamente e con abilità il registro recitativo. I costumi sono semplici ma indicativi e tutto si svolge in una cornice neutra, abitata da sgabelli neri. La performance è lineare, pulita, asciutta, e si permette interessanti momenti di cura del ritmo comico e tragicomico. I corpi degli attori sono prestati in tutto e per tutto alla scena: è la loro coralità – sviluppata grazie alla presenza e al lavoro di un gruppo coeso – che colpisce e si sviluppa in azioni coreografiche, antinaturali ma intense ed indicative. Ad accompagnare le scene dello spettacolo sono anche alcuni momenti musicali dal sapore brechtiano, quasi da operetta, dove gli attori si estraniano dallo svolgersi degli eventi e, attraverso la musica commentano la vicenda.

Nessun nome è fatto, nessuna data è dichiarata: PhoebusKartell si sviluppa quasi in modo universale, come se si potesse applicare a qualsiasi situazione anche contemporanea, per quanto nella presentazione dello spettacolo siano dichiarati nomi e luoghi. Guardandolo non si viene nemmeno a conoscenza di quali sono gli stati rappresentati dalle diverse aziende produttrici o quale sia il vero nome del “Professore” fino a quando il registro universale si infrange con le didascalie proiettate a inizio e fine spettacolo, che dichiarano la verità nascosta e sottesa – ma poi nemmeno tanto – di PhoebusKartell.

Vera Di Marco

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