Dal 27 gennaio al 25 febbraio 2024 torna in quella che sta sempre più diventando la sua seconda casa, Teatro Studio Melato, il regista e attore Liv Ferracchiati, che seguiamo da quando fonda la compagnia The Baby Walk grazie alla Trilogia sull’Identità sul tema dell’identità di genere con gli spettacoli Peter Pan guarda sotto le gonne, Stabat Mater e Un eschimese in Amazzonia.
In scena Come tremano le cose riflesse nell’acqua una ‘scrittura originale profondamente attraversata dal testo Il gabbiano di Čechov’.
Per questo motivo ho contattato l’amico Liv Ferracchiati per rispondere alle mie 5 domande per sapere…
… quando nasce lo spettacolo Come tremano le cose riflesse nell’acqua?
Difficile datarlo perché il nucleo da cui si origina la scrittura si è formato ormai molto tempo fa.
Potrei definire questo spettacolo come una ‘scrittura originale attraversata dal testo Il gabbiano di Čechov’.
Tutto o quasi nasce proprio mentre leggevo Il gabbiano e venivo attratto dalla scena della bendatura, quella del terzo atto quando Treplev chiede alla madre, Arkadina, di cambiargli la fasciatura.
In quella scena trovo un fuoco centrale.
Il testo che rappresentiamo ha iniziato a prender forma nella mia testa quando la scena della bendatura de Il gabbiano è entrata in contatto con il ricordo del racconto di Wallace “Caro vecchio neon“, in particolare mi riferisco al momento della descrizione dell’istante in cui il protagonista decide di uccidersi e dice:
«Me ne stavo lì seduto a pensarci e guardavo il ficus. Tutto sembrava tremare un po’, come tremano le cose riflesse nell’acqua»
Di quella frase mi ha colpito la sensazione di evanescenza che precede il gesto estremo e il fatto che si legasse alla presenza del lago, dell’acqua, del rispecchiarsi in essa e delle increspature che la muovono. In fondo, uno dei nodi tematici attorno cui ruota la narrativa di Wallace è l’intreccio indistricabile e problematico tra pensiero, linguaggio e realtà.
Secondo Liv Ferracchiati perché tremano le cose riflesse nell’acqua?
Ne Il gabbiano di fatto c’è un personaggio a tutti gli effetti che è il lago, presenza metaforica, simbolica. Il lago in qualche modo registra gli umori delle persone che vi gravitano attorno.
Lo specchio del lago dove poter vedere riflessa la propria immagine, increspata dal muoversi dell’acqua.
Ecco da qui nasce lo spettacolo!
Quanto sono importanti le parole e quale peso hanno nello spettacolo Come tremano le cose riflesse nell’acqua?
La parola è centrale nei miei lavori e mi verrebbe da dire purtroppo!
Perché… la parola è ambigua perché può essere soggetta a diverse interpretazioni già all’interno di una frase, muta nella composizione di una battuta, nell’interpretazione dell’attore, assume sfumature nel sottotesto, insomma arriva al fruitore diversamente da come nasce.
La parola è aerea, incorporea, può essere fraintesa…
In questo spettacolo, anche grazie alla consulenza letteraria di Fausto Malcovati che è stato fondante per me, siamo andati a fondo quasi su ogni sillaba del testo originale, sono entrato così a contatto con la riscrittura di questo testo che a un certo punto mi sembrava che quei personaggi mi diventassero famigliari.
Poi, quando sono arrivati gli attori, gli stessi si sono come presentati attraverso i loro corpi.
E per questo sono anche molto grato al lavoro fatto dalla dramaturg Piera Mungiguerra e dall’assistente volontaria alla regia Eliana Rotella, il continuo e costante confronto su ogni battuta, su ogni sillaba, discussa e ridiscussa con loro.
Dirigi un cast di attori/attrici affermati e non… quanta libertà lasci loro e quanta linfa nuova donano a te?
Inizio da Laura Marinoni, artista che ammiro da sempre per la sua potenza espressiva. Da quando ho iniziato a pensare al Gabbiano per me la Madre (Arkadina) poteva essere soltanto lei. È un piacere lavorare con Laura, per la sua ironia e capacità di mettersi a servizio del progetto, pur rimanendo sempre protagonista per carisma e intelligenza scenica.
In ogni caso, con tutti gli attori del cast, più che una direzione da parte mia, c’è un confronto per approdare al risultato migliore.
Un altro artista che non ha bisogno di essere presentato e diretto è senz’altro Roberto Latini che interpreta il Romanziere (Trigorin). Roberto ha un percorso autoriale, registico e attoriale del tutto originale, che apprezzo profondamente, eppure, anche ritrovandosi nel mio immaginario, ha saputo mettere a frutto il suo istinto, in un continuo dialogo e confronto.
Nicola Pannelli, nella parte dello Zio (Sorin), possiede un talento fuori dal comune: è sufficiente chiedere di applicare una determinata sfumatura per vederla immediatamente realizzata in palcoscenico con semplicità spiazzante. Marco Quaglia, è tra gli attori quello che ha scelto un percorso più off. So che sceglie di collaborare solo a spettacoli che per lui risultino davvero significativi, ed è quindi per me un onore che abbia accettato di far parte di questo progetto: al Dottore sta regalando un’interpretazione intensa e inusuale rispetto al Dorn che tutti conosciamo. Ci sono anche due esordienti, Giovanni Cannata e Cristian Zandonella, neodiplomati entrambi, il primo all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico di Roma, il secondo alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano. Giovanni si è diplomato in un saggio di fine corso diretto da me [“Come la marmellata che non mangio mai. Studio sul Gabbiano di Anton Čechov”, ndr] e ho deciso di dargli enorme fiducia affidandogli la parte del Figlio (Kostja), come è giusto che sia. Mi piace molto perché riesce ad essere sempre naturale e in connessione con quello che gli accade intorno. Cristian, il Maestro, ovvero Medvedenko, ha iniziato a lavorare allo spettacolo come assistente volontario alla regia, ma poi, recitando le battute di quel personaggio, mi ha colpito per la capacità di immersione totale in quello che fa.
Camilla Semino Favro, con la quale non avevo mai lavorato, ma che avevo apprezzato più volte a teatro, è dotata di grande sensibilità scenica che le consente di comprendere all’istante, anche tecnicamente, che tipo di atteggiamento interpretativo assumere, caratteristica estremamente utile per il suo ruolo. Infine, a Petra Valentini ho voluto affidare il ruolo di Nina perché ho tratteggiato un personaggio più maturo rispetto all’originale di Čechov. Sapevo che l’energia scenica di Petra avrebbe fatto fare un salto di potenza all’abituale iconografia della ragazza giovanissima. Petra è per me una compagna di lavoro di talento alla quale affidarmi completamente.
Insomma, in qualche caso è un piacere fare il regista: questo spettacolo è uno di quei casi.
Concludendo… c’è una persona che vorresti vedere seduto/a in Prima Fila il 27 gennaio al Teatro Studio Melato e alla fine di Come tremano le cose riflesse nell’acqua cosa vorresti che si portasse a casa?
Questa è una domanda difficile!
In realtà a me piace incontrare il pubblico, perché è l’unico elemento che alle prove è impossibile riprodurre e ti dà la possibilità di capire cosa funziona e cosa no.
Rispetto alle persone che vorrei avere alla prima, le più care, sono con me in questo lavoro. Quindi sono obbligate a seguirlo giorno per giorno.
Non so voi ma con un cast così, diretto da uno dei più talentuosi registi della scena contemporanea… un salto a Teatro lo farei.
Quale?…
Teatro Studio Melato
dal 27 gennaio al 25 febbraio 2024
COME TREMANO LE COSE RIFLESSE NELL’ACQUA
di Liv Ferracchiati
liberamente ispirato a Il gabbiano di Anton Čechov
regia Liv Ferracchiati
con (in ordine alfabetico) Giovanni Cannata, Roberto Latini, Laura Marinoni, Nicola Pannelli, Marco Quaglia, Camilla Semino Favro, Petra Valentini, Cristian Zandonella
Buona serata!
TiTo
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