La drammaturgia italiana contemporanea è un territorio vivo e coraggioso. Nonostante le difficoltà strutturali del sistema teatrale italiano, continua a produrre opere che emozionano, interrogano e trasformano. È un teatro che non ha paura di mettersi in discussione, e che proprio per questo merita attenzione e sostegno.
Ci sono artiste che considerano il teatro come un’arte fragile e abissale, dove il corpo dell’attore è al centro della scena, non solo come strumento ma come veicolo di senso e dissenso.
Un teatro che non cerca risposte, ma domande.
Un teatro che si muove nell’ombra, che ascolta il silenzio, che mette in scena l’invisibile.
Un teatro che non ha paura di essere fragile, perché è proprio nella fragilità che si nasconde la forza dell’arte.
Tra queste artiste ci sono Angela Antonini & Rita Frongia che debutteranno, il 30 novembre e il 1 dicembre 2025, con il loro nuovo lavoro dal titolo Guerrilla Girl al PimOff di Milano.
Il PimOff; un piccolo, ma grande teatro considerato uno dei punti di riferimento proprio della drammaturgia contemporanea. Una vera e propria factory artistica nata nel 2005 per volontà di Maria Pietroleonardo, con l’obiettivo di creare una “casa delle arti” dove gli artisti possano sperimentare in totale libertà.
Prima di iniziare la nostra chiacchierata, quando è iniziato il vostro viaggio nel teatro?
A.A.
Il Teatro è arrivato quasi per caso nella mia vita, avevo 15 anni e avevo perduto i soldi che mi avevano dato i miei genitori per iscrivermi al corso di danza così – senza dire niente a nessuno – mi iscrissi al corso di recitazione che, al contrario della danza, era gratuito e già questo mi piaceva molto.
Metodo di Nino Manfredi!
Fu un incontro scioccante, in particolar modo quando mi venne chiesto di rappresentare con il mio corpo una bandiera che sventola sopra un’asta o peggio ancora, quando fui invitata a rappresentare un’onda marina che si infrange su uno scoglio, mi ricordo che pensai cosa c’entra con la mia vita questa cosa, un’onda che si infrange è una cosa impossibile da fare soltanto con il movimento! Ecco da lì fui contagiata dal teatro, dai suoi germi, per questa impossibilità legata alla rappresentazione, forse…
Invece quando, se posso, è avvenuto il vostro incontro con Claudio Morganti e come vi ha cambiato, artisticamente, la vita teatrale?
A.A.
Il primo nel 2000 nel foyer del Teatro della Limonaia a Sesto Fiorentino, dopo il debutto di Shopping and Fucking di Mark Ravenhill, la mia prima produzione, diretta da Barbara Nativi.
Qualcuno ci presentò, Claudio mi guardò con la coda dell’occhio, come fa lui, e mi disse una frase che suonava un po’ come una preghiera e un po’ come una provocazione.
Mi disse:
«Non devi farti del male mentre sei in scena, in scena bisogna farsi del bene, non del male»
Io avevo le gambe piene di lividi e piccoli tagli, nello spettacolo io cadevo sempre, Lulù (il nome della protagonista femminile) si faceva continuamente del male e io per aderire alla sua figura – ero giovane – mi ero convinta di dover provare il suo stesso dolore. Claudio mi mise quella pulce lì nell’orecchio e da quel momento è iniziato a cambiare il mio pensiero sulla scena e le sue cadute ed è nata questa amicizia col grande Maestro Claudienko Morg’hantieff.
R.F.
L’incontro con Claudio è stato potente, artisticamente e non, una rivoluzione. Claudio è un attore eccelso, vederlo lavorare da vicino è stata una fortuna: osservare come costruisce un’altra fisiologia, come crea ritmo, come evoca fantasmi, come risolve con genio e apparente semplicità molti passaggi della scena.
Fare e pensare insieme il teatro è gioia.
Da più di 25 anni c’è un dialogo ininterrotto e ossigenante sui fatti della scena, sulla teoria e sul lessico della nostra arte.
Come descriveresti l’evoluzione del tuo linguaggio scenico nel tempo?
A.A.
Guerrilla Girl è il risultato di cosa è accaduto per me come attrice dopo la produzione di LILITH scritto e diretto da Rita Frongia che abbiamo presentato al PimOff due anni fa.
Il lavoro con Rita, soprattutto con LILITH, mi ha letteralmente cambiato i connotati scenici e attoriali, portandomi dentro la performance e da lì non sono ancora uscita.
Adesso mi sto occupando di poesia performativa, spoken word, sto portando sulla scena, nelle scuole, nelle piazze questa forma di contestazione poetica, una forma di lotta, di attivismo sociale e politico, una poesia iper-contemporanea candenzata sulla musica, che si muove tra il punk, il pop, talvolta c’è anche del melodico come nel caso della poesia d’amore che dice di aver scritto la nostra Guerrilla Girl in uno dei suoi momenti di maggior devasto, dal titolo semplice e delicato: “SCOPAMI”.
Questa è in realtà una poesia di Maggie Estep, poeta e performer che andava in scena nei locali notturni di New York dove venne notata da MTV e resa nota al pubblico di tutto il mondo.
Ma cosa significa; drammaturgia contemporanea… è più importante la parola o il silenzio nella scrittura teatrale?
R.F.
Parola e silenzio sono entrambi dei fatti sulla scena. Si nutrono a vicenda. Quando poi è la parola a generare un silenzio, può essere un gran godimento.
Quanta libertà lasci ai tuoi attori nello sperimentare?
R.F.
Credo di essere in profondo ascolto dei fatti che accadono sulla scena, se un attore agisce come io non ho immaginato, spesso, lo considero un regalo. La libertà in scena si conquista con le prove, è la capacità di un attore di uscire dal disagio che prova mentre fa quello che fa. Creare un ritmo, entrare in ritmo, genera libertà. Sento la responsabilità di coinvolgere la compagnia in una visione, di creare un nuovo mondo, una nuova geografia per gli attori e ho bisogno di tutta la loro intelligenza, personalità e ironia. Questa che chiamiamo libertà va esercitata anche nella regia.
A questo punto visto che parli di prove Vi chiedo quanto sono importanti le residenze artistiche?
R.F.
Le residenze artistiche sono quasi tutto.
La parte più bella del nostro lavoro è la fase di creazione. Abitare altri spazi, altri suoni, accenti, una nuova geografia è fondamentale nel processo di creazione.
A.A.
Affrontare un lavoro con Frongia, senza una o più residenze è impossibile.
Durante una residenza si iniziano ad unire le materie, nel tempo immediatamente dopo una prova, a cena, nei risvegli, fuori dalla scena. Grazie alle residenze artistiche esiste un tempo parallelo alla vita, che è il tempo della creazione e delle materie informi. Per materie informi intendo umori, intuizioni, pensieri intorno ad una comune questione, affetti, cose piccolissime e impercettibili e per questo difficili, complesse da dire.
Le residenze permettono la complessità nella creazione di un’opera.
Rita, invece quanto conta l’improvvisazione nella costruzione di un tuo spettacolo?
R.F.
Tantissimo se l’improvvisazione è intesa come il desiderio di tempi nuovi, il desiderio che nel corpo accadano ritmi impensati. L’ improvvisazione è un’attitudine, una tensione verso l’inaudito. La melodia c’è, la forma c’è ma si riattraversa il percorso sulla scena nella speranza che le cose accadano. Non si dovrebbe ripetere ma riattraversare. L’improvvisazione è fatta di piccoli spostamenti che generano dei respiri nuovi e una vivezza nell’azione e nella relazione.
Il Vostro teatro in una sola parola?
A.A
Guerrilla.
R.F.
Improbabile.
L’errore ad inizio carriera, ma anche durante, è importante oppure ve lo fanno pagare?
A.A.
Il teatro dovrebbe sempre iniziare con un errore, per errore, senza errore non c’è scena che tenga.
Devi disilludere tutte le attese e andartene da un’altra parte, cambiare rotta. Il teatro sta sempre nella scena che non ti saresti mai aspettata di fare, sta sempre dove non dovrebbe mai stare, è un accadimento che non doveva accadere, il teatro!
Ed è precisamente questo il senso di tutto il pezzo finale di Rita, mistico e dissacrante, di Guerrilla Girl. Rita invita sempre i suoi attori alla caduta (e a me piace cadere!) perché è li che inizia il teatro: l’accadimento di qualcosa di sconosciuto, sia per chi lo fa che per chi lo vede. Detto anche errore.
R.F.
Guarda, vorrei dirti che né si pagano gli errori né si raccolgono i frutti di un buon lavoro.
Ho l’impressione che la qualità di un’opera o il suo fallimento non abbiano alcun rilievo. Il teatro non conta nulla. I teatranti ancora meno.
Se davanti a voci ci fosse il Ministro della Cultura, quale tipo di riforma consigliereste attuare per dare più respiro al teatro contemporaneo?
A.A.
Ehhh.
A quattr’occhi col Ministro della Cultura suggerirei una riforma che tenga conto non soltanto dello “storico” di teatri e associazioni ma delle risorse necessarie da destinare a spazi non convenzionali perché è lì che si fa ricerca e sperimentazione artistica. Una riforma che abbia al centro il desiderio di integrare le arti nella vita urbana, nelle scuole, nelle strade. Gli ricorderei che il Teatro è anzitutto un luogo di pace, di profonda relazione, di crescita, di connessione, non è mercato. Niente più tagli alla cultura, altrimenti si finisce come siamo finiti adesso: impoverimento culturale quindi malessere diffuso con gravissime ripercussioni sul sociale, sto parlando di violenza inaudita contro ogni forma di marginalità. Proporrei nella commissione, Chandra Livia Candiani poeta che sa parlare dell’umano, di accoglienza, di tenerezza, di fiducia tra popoli e culture differenti. Ma oggi un pensiero del genere è da extraterrestri, è un’utopia, un tempo invece, è stato possibile.
R.F.
Vorrei trovarmi in una stanza con un Ministro della Cultura che conosce la questione più di me, non dovrei essere io a insegnargli il suo lavoro.
Le battaglie su salute, istruzione, cultura, diritti dei lavoratori, diritti umani ci riguardano tutti e vanno affrontate insieme, non possono più esistere le battaglie di settore.
Domanda che arriva puntuale come il Natale… il nostro teatro contemporaneo gode di buona salute?
A.A.
Non c’è abbastanza spazio per la ricerca e per la sperimentazione, troppi bandi con troppe linee guida da seguire e istruzioni per l’uso.
R.F.
L’arte del teatro sta benissimo dal punto di vista della creazione, questo è un paese ricco di teatranti eccellenti. Dal punto di vista lavorativo (sindacale) è uno sfacelo. Il problema è che non ci sono soldi per sanità, cultura e welfare e non c’è un progetto, un disegno politico. Tutto è affidato a bandi ed è una corsa al clic più veloce.
Con le briciole si costruisce poco.
Penso comunque che in questo Paese un’opera minore del Rinascimento sarà sempre considerata superiore rispetto a un’opera di Giacometti. Vinceranno sempre l’attore col vocione e le didascalie di un certo teatro di regia. Poi alla fine non è che si vinca granché, è una cosa tra poveri.
Invece che rapporto ha il pubblico italiano con il teatro contemporaneo?
R.F.
Il pubblico del teatro è poco ma è intelligente, è in grado di cogliere la complessità del contemporaneo.
Il vostro rapporto con la critica?
A.A.
Sarei per un maggior dialogo tra critica e pubblico, sono distanti, andrebbe recuperata questa relazione, questa forma di dialogo e corrispondenza. Per quanto mi riguarda ho ricevuto sempre delle belle sorprese dalla critica, ci sono sguardi che sono riusciti a comprendere profondamente il senso del nostro lavoro ad esempio su LILITH ma anche su GUERRILLA.
Cosa ti darebbe più fastidio leggere in una recensione di un tuo spettacolo?
A.A.
Mi darebbe fastidio il tentativo di spiegare pedissequamente la drammaturgia dell’opera, la traduzione logica di qualcosa che non ha nulla a che fare con la logica, un’opera non vuole spiegare niente, non siamo lì per fare public speaking. Nella drammaturgia è il silenzio, è il corpo, è il non detto come indicano molto bene le opere di Rita, è il peso di un’azione o di una Presenza a parlare. Non c’è nulla da spiegare, ma da sentire, avvertire, la scena è il luogo della percezione, dell’indicibile, come la poesia.
Si può spiegare la bellezza di un fiore? Non credo.
Avete mai pensato: “basta, mollo tutto!” e cosa vi ha fatto continuare?
A.A
Non credo di averlo mai pensato, ho sempre provato a difenderlo il mio percorso artistico, non credo che riuscirei a fare diversamente, è il mio modo di essere e stare nel mondo, e non ne conosco un altro, almeno per ora. Certo se la realtà del mondo fosse diversa, sostenesse valori diversi, potrei anche pensarci, ma allo stato delle cose, no. Ho estremamente bisogno di un luogo dove nascondermi, di una stanza tutta per me.
R.F.
Certo, sì, spesso, anche stamattina, in realtà continuo perché non ho altre rendite e vivo del mio lavoro, perché non so fare altro e perché quando sono in prova con gli attori per me è pura gioia. La gioia – nella costruzione di un’opera- è sottovalutata.
Cosa vedremo il 30 novembre e il 1 dicembre al PimOff di Milano grazie allo spettacolo GUERRILLA GIRL_l’arte di comportarsi male?
A.A.
GUERRILLA GIRL è una donna che rincorre continuamente una fiamma senza mai riuscire a raggiungerla. Vedremo una Wonder Woman al devasto, una che si moltiplica, si sdoppia, si fa in mille per riuscire a sopravvivere. È un poeta ma per sopravvivere è costretta a scrivere dialoghi e drammaturgie per chat erotiche, fa più lavori nello stesso momento, la sua vita è una corsa affannosa all’ultimo respiro. È forte come King Kong, presenta un programma televisivo sulle Guerrilla Girls, insegna ginnastica filosofica on line, racconta la sua totale inadeguatezza alla realtà del mondo così com’è. È un ritratto? Forse. Il ritratto di ogni artista, oggi. Se sei donna, moltiplica per due.
R.F.
Vedremo un’attrice come Angela Antonini, ovvero un’esperienza.
Uno spettacolo che si nutre del lavoro di artiste come Maggie Estep e delle forme di protesta femministe in forma performativa delle Guerrilla girls. Vedremo un’opera originale, femminista, il corpo di un’artista vessato da cento lavori per tirare a campare ma che nonostante il “devasto”- tenta di essere poesia.
Come abbattere i clichés che ci circondano?
R.F.
Considero l’arte la migliore risposta ai cliché, io rifuggo la retorica come fosse peste. Basterebbe provare a stupirsi di volta in volta di una parola, di un gesto, nulla si ripete mai allo stesso modo. Il comico è il rimedio più potente contro la retorica e i cliché.
Ispirato alle proteste “educate” delle Guerrilla Girls, che denunciavano la discriminazione sessista e razzista e la corruzione nell’arte, Angela Antonini, che insieme a Rita Frongia cura anche regia e drammaturgia, incarna la faticosa impresa delle donne di scrollarsi di dosso i clichés patriarcali.
Anna & Rita riusciranno in questa impresa?
Per scoprirlo vi basterà andare a teatro, quello del:
PimOff
30 novembre 2025 -1 dicembre 2025
GUERRILLA GIRL_l’arte di comportarsi male
drammaturgia e regia Angela Antonini e Rita Frongia
con Angela Antonini
produzione Il Teatro delle donne
Il Teatro delle donne (Centro Nazionale di Drammaturgia) nasce nel 1991 da un’idea di Maria Cristina Ghelli e vi aderiscono da subito autrici, attrici, registe, operatrici e studiose del settore, fra cui Dacia Maraini, Barbara Nativi, Laura Caretti, Lucia Poli, Valeria Moretti, Donatella Diamanti, Lia Lapini. È un centro di drammaturgia che si occupa della scrittura teatrale contemporanea promuovendo un teatro al quale oggi si devono senza dubbio alcuni fra i fermenti più interessanti del panorama della nuova drammaturgia e del nuovo fare ed immaginare teatro.
TiTo
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