Arrivano a Milano i bravissimi calciATTORI dello spettacolo Pochos, scritto e diretto da Benedetto Sicca presso il Teatro Elfo/Puccini (noi di Milano Teatri abbiamo visto lo spettacolo nel 2019 all’interno della rassegna Lecite/Visioni) dal 5 al 9 giugno 2023, tratto da un fatto realmente accaduto a Napoli.
Grazie allo spettacolo Pochos ascolteremo parlare di amore, di amicizia e di sport, ma prima di parlare dello spettacolo ho contattato il vero protagonista di questa storia, Giorgio Sorrentino, al quale ho chiesto di raccontarmi quando e perché nasce l’idea di Pochos…
L’idea nasce per caso nel febbraio 2010 quando ritornai a Napoli per lavoro.
Avevo 28 anni e ancora non avevo fatto coming out, avendo vissuto 10 anni a Roma, ero lontano dalla quotidianità familiare e pensavo di non sentire il bisogno di esternare ai genitori il mio orientamento sessuale.
Ritornato a casa dei miei però avevo perso la mia privacy, soprattutto i miei amici perché molti dei quali avevano già moglie e figli.
Decido di iscrivermi su una chat di incontri: gayromeo. Avevo bisogno di fare nuove amicizie. Su questa chat inizio a proporre partite a calcetto, andando controcorrente alle richieste abituali di questi luoghi virtuali. Nel giro di sei mesi raccolgo 10 adesioni e il 30 di ottobre 2010, fu giocata ad Agnano la prima partita Pochos. Da qui, in seguito, il percorso diventa sempre più in discesa, perché si diffonde la notizia e aumentano le richieste di partecipazione.
Arriviamo al 5 febbraio 2013 quando ormai ci allenavamo ogni settimana e la squadra fu presentata alla stampa.
Dal 2013 ad oggi le cose sono cambiate oppure siamo punto e a capo?
Per quanto riguarda i Pochos, siamo ormai un’associazione che da anni opera nel sociale ed è un punto di riferimento per molte persone del territorio.
Siamo in diversi progetti sia di antidiscriminazione che antiviolenza.
Mentre le cose procedono molto lentamente direi nella società e nello sport. Dalla serie A attendiamo ancora almeno un coming out che potrebbe spalancare le porte e le menti di molte persone.
Dopo aver scoperto quando e perché nasce la squadra di calcio Pochos, scopriamo qualcosa in più su quando e perché nasce lo spettacolo Pochos. Per questo motivo ho contattato il regista e drammaturgo Benedetto Sicca.
Prima della pandemia, iniziai un percorso di studio e di condivisione insieme a quelli che sono gli attuali interpreti di Pochos, a partire da una esperienza che avevo incontrato in maniera diretta sin dalla sua origine, ovvero la squadra di napoletani che dà il nome allo spettacolo.
Il perché è intrinseco alla mia urgenza di parlare di amore e libertà; questa storia mi ha permesso di farlo, credo, parlando a tutti e dando a tutti la possibilità di andarsene dal teatro con qualche dubbio o qualche domanda in più.
Grazie a Pochos sei riuscito a creare uno spettacolo divertente e profondo. Fa sorridere ma anche riflettere (io mi sono anche commosso). Siete riusciti a non cadere nei luoghi comuni, non avete trasformato in macchiette i personaggi, impresa ardua perché troppo spesso succede il contrario. Quanto ti premeva andare oltre gli stereotipi, che sono alla radice dei personaggi macchietta?
Ti ringrazio delle tue considerazioni.
Per essere sincero, non me lo sono posto molto come problema. Probabilmente (e per fortuna) il macchiettismo di cui parli non mi appartiene nel modo di rappresentare l’omosessualità. Naturalmente non è né il primo né l’ultimo dei miei lavori in cui vi sono personaggi omosessuali e direi che “macchiette facili” fin qui non se ne sono mai viste e non credo che se ne vedranno, se non poste all’interno di un “macchiettismo consapevole.”
Ma conosciamoli i personaggi/attori dello spettacolo Pochos…
È difficile parlare di personaggi – mi interrompe Francesco Aricò – perché la storia non è lineare, siamo esecutori in funzione dei vari quadri. Abbiamo uno sviluppo, ovviamente, così come tutta la narrazione lo ha ma è un raccolto personale dello spettatore. Probabilmente è sempre così a teatro ma in questo caso più delle altre volte. Forse Ciccio è il più tenero, insieme ad Emanuele. Sono incantati.
Sì, parlare di personaggio è difficile – conferma Emanuele D’Errico – Infatti nella nostra lunga ricerca attoriale abbiamo lavorato su una specie di “avatar” di ognuno di noi. Io nello spettacolo sono Emanuele detto Ema. Sono una versione di me diversa dal solito. Abbiamo indagato la parte più sensibile ma anche ogni lato di omofobia latente e radicata che abita ognuno di noi al di là della propria consapevolezza. Il mio personaggio è giocoso e sensibile, ironico e romantico ma anche estremamente fragile, vittima di un rifiuto familiare dovuto alla sua omosessualità. Nel gioco del dentro fuori drammaturgico di Benedetto poi ognuno di noi gioca a fare tanti personaggi. Mi piacerebbe che allo spettatore arrivasse quanti pregiudizi esistono in noi di cui neanche ci rendiamo conto. E poi la speranza è che Pochos possa essere per qualcuno l’opportunità di sentirsi libero di essere un po’ più se stesso.
Il mio personaggio in Pochos – a parlare è Francesco Roccasecca alias Rock – è praticamente l’alter ego di Giorgio Sorrentino. Non posso fare a meno di ammirare il coraggio di “Rock” (e di conseguenza anche quello di Giorgio), giovane napoletano omosessuale, che decide con il suo compagno di vita “Rick “, di fondare la prima squadra omosessuale napoletana rivoluzionando un concetto che prima di allora sembrava impossibile affrontare.
Calcio e omosessualità? Impossibile!
Invece, con amore, coraggio e determinazione, Rock insegna che tutto questo è possibile, rendendolo un vero atto rivoluzionario. Cito una parte del testo che spiega molto bene cosa voglio dire:
“E ora che ho scoperto cosa vuol dire non sentirsi più soli e terrorizzati, io voglio troppo fare qualcosa per tutti i “Francesco”, “Dario”, “Emanuele”, “Riccardo” che non hanno voce. Per tutti quelli che non hanno le nostre stesse possibilità, per tutti quelli che non hanno i POCHOS!”
Il teatro – chiude la carrellata sui propri personaggi Dario Rea – è un posto meraviglioso in cui delle volte si ha la possibilità di raccontare delle storie che trascendono la finzione e la realtà, fino a farti chiedere davvero se quello che stai guardando è accaduto o meno.
Del mio personaggio/persona mi affascina la dolcezza, la tenerezza, il coraggio e la forza. Mi piacerebbe se lo spettatore riuscisse a coglierne questi elementi ed in qualche modo si riconoscesse, abbattendo per davvero ogni tipo di stereotipo e preconcetto.
Studi rivelano che molti adolescenti ricevono insulti come gay, frocio, culattone o femminuccia circa una trentina di volte al giorno o una volta ogni 14 minuti. “Grazie” a questi simpatici appellativi in molti hanno pensato, almeno una volta nella vita, al suicidio. La Fondazione Americana per la Prevenzione del Suicidio ha rilevato che molti hanno tentato il suicidio durante l’adolescenza ad una velocità da tre a sei volte maggiore di quella dei loro coetanei eterosessuali. Fino ad arrivare al suicidio vero e proprio.
Questi dati dovrebbero fare paura… eppure non se ne parla o se ne parla poco! Benedetto quant’è importante il teatro nella lotta contro l’omofobia?
La cosa più bella e commovente che mi sento dire tante volte dopo lo spettacolo è che “andrebbe fatto vedere in tutte le scuole”.
Per provare a rispondere alla tua domanda: io penso che il teatro possa essere di grande aiuto; ma anche il cinema, la televisione e naturalmente i libri. Pensa cosa possa aver rappresentato un romanzo come “La morte della bellezza” ai ragazzi che nel 1985 avevano 15-20 anni… quello che intendo dire è che tutto ciò che serve alle persone a sentirsi meno sole e meno spaventate può essere d’aiuto.
Il teatro, con la sua capacità di rappresentare fenomeni complessi attraverso l’emozione, può sicuramente essere parte di un sistema di anticorpi possibili per il tragico fenomeno di cui parli nella tua premessa.
Come risponde il pubblico più giovane dopo aver visto Pochos?
Benissimo!
Avete avuto più riscontri oppure (passami il termine) qualche insulto o disappunto?
Finora nessun insulto o disappunto, in verità.
E, nella mia percezione, i ragazzi giovani sono veramente molto molto più fluidi e semplici dei loro genitori. Questo lo dico anche da frequentatore del mondo della musica sia in Italia che all’estero: io ho l’impressione che l’omofobia si stia progressivamente assottigliando nelle nuove generazioni, tanto quanto il machismo tossico.
Certo ci sono fenomeni molto preoccupanti e reazionari, ma le persone, i giovani stanno molto molto molto più avanti dei politici, dei loro professori e dei loro genitori.
Chiedo a Francesco Aricò e a Emanuele D’Errico perché secondo loro la gente ha tanto paura della diversità.
Provo a risponderti – ci spiega Francesco – partendo dal cast di Pochos: io sono l’unico non napoletano e quando abbiamo iniziato la prima residenza, anzi quando Benedetto mi propose il progetto, questo mi faceva un po’ paura. Avevo la presunzione di conoscere alcuni aspetti dei napoletani, visti da me in parte simili ai siciliani (che conosco bene in quanto lo sono anch’io) e avevo il terrore di non riuscire a fare gruppo.
Già solo a partire da qui potremmo tirare qualche primissima conclusione: ci spaventa ciò che non conosciamo perché non sappiamo come lo affronteremo e se ne saremo capaci (ovviamente non parlo in termini di lotta ma intellettivamente). In secondo luogo cerchiamo, proprio come ho fatto io, di deresponsabilizzarci per raccontarci in maniera diversa la nostra paura.
“Eh già mi immagino i napoletani fra di loro, con il loro insopportabile sentimento di napoletanità…”.
Piuttosto che dire:
“Ok bello, respira, loro non conoscono te e tu non conosci loro. Serve tempo e predisposizione d’animo”.
E infatti come nelle migliori storielle col lieto fine, ho trovato un gruppo di persone che sono diventate amiche. E poi io Napoli non la sapevo proprio! E che mi perdevo!
È difficile rispondere a questa domanda – a parlare è Emanuele – perché è davvero facile cadere in luoghi comuni e frasi fatte. Forse la cosa più banale che mi viene da dire è che la diversità fa paura perché spesso significa mettere in crisi la zona di comfort che si è abituati a costruirsi attorno per non disorientarsi perché è faticoso essere se stessi e accettare che ognuno è diverso, è più facile invece riconoscersi in un’identità collettiva che ti fa credere di essere meno solo al mondo. Io personalmente sono spaventato dalla normalità, perché non saprei riconoscerla.
Sicuramente tra dal 5 al 9 giugno 2023 in platea un giovane Giorgio Sorrentino, cosa vi piacerebbe dirgli (lo chiedo a Dario Rea e Francesco Roccasecca) fuori dal Teatro Elfo/Puccini terminato lo spettacolo Pochos?
Mi piacerebbe dirgli – il primo a rispondere è Dario – che è una persona stupenda e la stupidità che lo circonda non è una sua responsabilità. Che ci vuole un grande atto di coraggio per essere se stessi in questo mondo così artefatto ma una volta accettati i nostri desideri, le nostre paure, la nostra fragilità la vita diventa più densa, significante, viva.
E soprattutto gli direi: “Vieni da Elmo, e poi a cena con noi!”
Onestamente l’augurio personale che faccio a me stesso come giovane ventiseienne appartenente a questa generazione – questo il pensiero di Francesco R. – è che un giorno questo spettacolo non lo si debba più fare.
Ma oggi più che mai, in questo periodo particolare, sembra essere più necessario di quanto lo si creda.
Chiuderei questa interessante chiacchierata con tutti i protagonisti di questa storia (purtroppo Riccardo Ciccarelli non è riuscito ad essere dei nostri) e ho chiesto a Giorgio Sorrentino: perché consiglieresti la visione dello spettacolo Pochos?
Perché è un viaggio unico ed indimenticabile.
Gli attori sono bravissimi e ti fanno vivere una miriade di emozioni, da quelle più crude a quelle più delicate. È uno spettacolo che ti fa rabbia, ti fa riflettere.
Quando esci dal teatro hai voglia di far cambiare molte cose intorno a te.
Lo consiglio a Giorgia Meloni.
Sottoscrivo ogni singola parola di Giorgio, compreso invitare la Presidente del Consiglio a venire a teatro, hai visto mai!
In realtà la squadra di calcio Pochos è composta sia da omossessuali che non, perché come da detto Sorrentino “non bisogna ghettizzarsi”. Di fatti, l’obiettivo è quello di sfidare in campo, attraverso un gioco, la normalità, perché i pregiudizi Giorgio e i suoi compagni di squadra non li combattono ma ci giocano in campo. Noi invece proviamo con il Teatro, andando ad applaudire la squadra messa in scena/in campo da Benedetto Sicca.
POCHOS
dal 5 al 9 giugno 2023 – Teatro Elfo/Puccini
SALA Fassbinder
scritto e diretto da Benedetto Sicca
con Francesco Aricò, Riccardo Ciccarelli, Emanuele D’Errico, Dario Rea, Francesco Roccasecca
sinossi
Pochos si interroga sul perché il calcio sia il luogo in cui gli stereotipi di genere sono più accentuati che in altri contesti. Si riflette sull’identità sessuale e su quanto i desideri possano essere fonte di gioia e libertà. È proprio dal calcio e dallo spirito di squadra che potrebbe iniziare il cambiamento. Ci vorrebbe il primo coming out della serie A…
TiTo
Leave a Reply