
Fly Butterfly (biglietto d’oro AGIS 1995) è uno spettacolo da inserire in una di quelle classifiche personali degli “spettacoli da non perdere”. Non tanto per la sua bellezza, che non è da mettere in alcun modo in dubbio, ma perché rappresenta un’esperienza teatrale dalla quale non dovrebbe prescindere nessuno spettatore, addetto ai lavori o non. Grazie al Teatro del Buratto l’oriente, con le sue caratteristiche e convenzioni prende corpo in occidente e – seppur riadattato – dichiara con forza la sua capacità d’essere attuale, universale e adatto a tutti.
Lo spettacolo è costruito attraverso la tecnica del teatro su nero, dove animatori nel buio del palcoscenico muovono e manovrano oggetti senza essere notati producendo eleganti effetti ottici, e attraverso la tecnica del Bunraku, nome popolare utilizzato per il teatro dei burattini giapponese.
“B.” come viene chiamata la protagonista nelle note consegnate all’ingresso in sala, è un’adolescente che percorre la via della conoscenza per trovare se stessa. Della “storia” – a noi spettatori amanti della drammaturgia narrativa – basti sapere questo. Il resto è un dispiegarsi di immagini che toccano le nostre corde irrazionali ed emotive, in un susseguirsi di figurazioni delicate. Dal buio profondo infatti emergono pochi elementi ripetuti in forme, grandezze e colori diversi: ventagli, ombrelli, teli. La loro composizione e movimento su musica costituiscono l’azione drammatica e invitano gli occhi di chi è seduto in sala ad ammirare e sorprendersi in giochi di apparizioni e sparizioni fluttuanti. La sorpresa e il rapimento che ci colgono sono gli stessi della protagonista che nel prologo della performance è affascinata da tutto ciò che le gravita – letteralmente – intorno. Nella prima parte della rappresentazione il testo è nullo e la globalità del lavoro è dato da immagini, colori, suoni e ritmi che nelle varie composizioni possibili fungono da metafore e allegorie.
La parola interviene tra una scena e l’altra solo dal momento in cui B. si presenta dai Guru per il suo percorso iniziatico, in un ripetersi di simmetrie ogni volta leggermente diverse, commentando come la protagonista affronta il suo cammino di passaggio “dall’ignoranza oscura alla luce della conoscenza”. Insieme al testo, interviene anche il corpo: i guru-animatori vengono presentati in silhouette davanti ad un enorme ventaglio e parte del gioco scenico è svelato.
A fine percorso, proprio attraverso l’accettazione del fallimento ormai giunto al suo apice, B. si scopre essere un bruco trasformato in farfalla, oltre che una marionetta diventata umana: le parole tornano ad essere superflue e lo spettacolo si avvia verso la sua conclusione. Sfilandosi da un bellissimo ed efficace incastro di corde, la protagonista esce dal bozzolo e conclude definitivamente il suo percorso tramite il gesto dell’harakiri-jigai, lo stesso utilizzato da Cho Cho-san nel capolavoro pucciniano. Il suo sangue – rappresentato attraverso due teli rossi che nascono ed escono delicatamente dal suo corpo – copre il palco e B. dispiega le sue ali nell’ultima imponente e iperbolica immagine dello spettacolo.
Vera Di Marco
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