Hedda Gabler, come in un acquario

Hedda Gabler

Autoritaria, altera, feroce: il personaggio di Hedda Gabler, creazione del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen, è senza dubbio uno dei personaggi più affascinanti della storia del teatro. La regista Cristina Pezzoli sceglie il celebre classico di Ibsen e lo porta in scena presso il Teatro Libero in prima nazionale.

La trama segue la parabola, anzi, la caduta libera che spesso affrontano gli antieroi di Ibsen: figlia di un importante generale, giovane sposa, in “dolce” attesa, viziata e temuta con sacro rispetto da tutte le persone che si affaccendano intorno a lei per esaudire ogni suo capriccio… eppure Hedda è oppressa dal “male di vivere”, tormentata dalla noia, dalle ambizioni deluse, dalle codardie che rimprovera agli altri ma di cui è la prima colpevole. Soltanto Lovborg, emblema per lei di un’incontenibile energia vitale, antico complice di Hedda, potrebbe restituirle un barlume di speranza, un briciolo di senso, se non da vivo, almeno da “glorioso” suicida, sparandosi alla tempia con la pistola che Hedda gli dona… Ebbene, il piano che lei stessa ha ordito le si ritorce contro: tutto scade nel ridicolo e nel patetico, lei sarà ricattata e tradita, minacciata dallo “scandalo”, soffocata dalla gelosia e dall’odio, incastrata nella spirale di inganni con cui aveva cercato di liberarsi dalla sua prigione dorata e che invece la costringeranno in una condizione di impotenza ancor più disperante… vittima e carnefice allo stesso tempo, fragile e spietata…

Sono tante le sfumature a cui si presta questo personaggio e bisogna riconoscere a Monica Faggiani il merito di aver saputo rendere il dolore e il tormento di Hedda rivelandone l’umanità ferita. Anche gli altri personaggi, apparentemente meno duri ma a loro volta ambigui, sono ben interpretati dagli attori Laura Anzani, Marco Brinzi, Monica Menchi, Dario Merlini e Angelo Tronca. Una menzione speciale per Rosalina Neri, una splendida signorina Tesman.

Nonostante quest’opera risalga al 1890, le inquietudini e le dinamiche vissute dai vari personaggi sono di assoluta attualità. “Potrebbe essere la base perfetta per una puntata di Porta a Porta – commenta la regista Cristina Pezzoli – La noia e il vuoto raccontati in Hedda Gabler, l’assenza di scopo e l’inutilità di stare al mondo, vizi del potere sono i virus devastanti che possiamo riconoscere, i bacilli produttori di malattie di cui anche noi ancora ci ammaliamo, le piccole disperazioni senza risurrezioni che sono le tossine croniche della contemporaneità.”

In un contesto apparentemente convenzionale, con costumi d’epoca (Rosanna Monti) e tipici elementi del salotto borghese (Paolo Calafiore), spiccano infatti gli acquari disposti in ogni angolo della stanza, particolare anomalo che si presta a diverse interpretazioni e trasformazioni: innanzitutto vasi dove i fiori donati agli sposi imputridiscono, poi teche trasparenti in cui Hedda conserva le prestigiose pistole del padre, e ancora le urne funerarie dove Hedda lascia cadere i brandelli bruciacchiati del libro/creatura di Lovborg, infine vi saranno appoggiate dentro tante candele che illumineranno fiocamente la stanza buia, funerea. Hedda ci tuffa dentro la testa: vuole risvegliarsi dall’apatia e dalla noia? Come un pesce, rinchiuso in uno spazio piccolo e soffocante, invidioso delle altre persone fuori dalla boccia, vorrebbe scapparne e vivere un’esistenza libera e appassionante? O ancora, simbolo dell’utero e del bambino che porta in grembo, Hedda sta cercando di confrontarsi con una maternità che non desidera e la imbriglia nel ruolo sociale della “madre”, per lei troppo stretto e limitante?

La tragedia di Hedda consiste in una lotta disperata, in cui ricorre ad ogni mezzo, anche crudele, per liberarsi da quel senso di morte che la circonda (i noiosi studi sulle popolazioni del passato del marito, la casa deserta, la vecchia serva, l’agonia della zia, l’omicidio di Lovborg, le pistole…), e come un cancro si espande, infetta il profondo del suo animo… o forse ne portava già il seme? Cristina Pezzoli spiega: “Uno sparo che non mette fine a niente, un ridicolo non sense, acquari dove accadono putrefazioni lente, come il bambino non nato di Hedda, le morti incapaci di bellezza, l’odore di lavanda e rose secche, l’odore del mondo che marcisce…”

Beatrice Marzorati

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