Recensione: “Alfredino. L’Italia in fondo a un pozzo”

alfredino
foto Alessandro Villa

Una piccola sedia e una lampadina accesa bastano a trasformare la scena dello Spazio Banterle nel pozzo di Vermicino, indietro nel tempo fino a quella che per la famiglia Rampi fu l’infausta estate dell’81. Il 10 giugno il piccolo Alfredo sceglieva di percorrere una strada diversa per tornare a casa e cadeva sotto terra a 60 metri di profondità.

Oggi avrebbe avuto la stessa età di Fabio Banfo, attore e drammaturgo di questo spettacolo creato in memoria di Alfredino e dell’Italia di quegli anni, entrambi schiacciati sotto il peso di una tragedia che in molti, dicono, si poteva evitare. E sono tanti i personaggi a cui l’attore dà corpo con abilità, costruendo il filo degli eventi per tasselli, sovrapponendo una all’altra le voci dei molti che ruotarono intorno alla vicenda. Moltissimi, considerando che una diretta tv così lunga, durata circa 18 ore, l’Italia non l’aveva mai vista. Diretta che per la prima volta legittimava gli italiani ad appropriarsi del diritto di speculazione di pensiero, libera interpretazione dei fatti di cronaca, divagazione argomentativa, interviste, opinioni, sospetti di complotti politici, e di tutti quegli altri ingredienti che oggi fanno della nostra televisione un calderone di oscenità.

La regia di Serena Piazza riesce a tenere insieme tutte queste voci, a non disperderle, ma anzi a renderle coese pur nella loro difformità. Il registro interpretativo cambia infatti di volta in volta: punto di forza dello spettacolo che dà allo spettatore una realistica visione a 360° gradi della vicenda, completezza che forse mancò allo spettatore televisivo dell’81. Fabio Banfo è la madre di Alfredino, il comandante dei vigili del fuoco Elveno Pastorelli, i brigatisti, l’allora presidente Pertini, il telespettatore medio, i geologi, quell’Angelo Licheri che rischiò la vita per quarantacinque minuti a testa in giù nel pozzo. A tutti viene data una voce, a quelli che parlarono fin troppo, arrivando a sospettare dell’assenza di lacrime da parte della madre del piccolo, e a quelli che di parlare non ebbero nemmeno la possibilità. Viene data una voce ad Alfredino, protagonista invisibile di questa storia, unico depositario di una verità che avrebbe potuto mettere tutti a tacere, ma che da quel pozzo non sarebbe più emersa.

Lo spettacolo lo riporta in vita, ridà ad Alfredino la dignità di cui venne derubato dal processo mediatico, gli regala un’ipotesi di esistenza che sarebbe potuta essere e non fu mai. In questi momenti, l’accurato lavoro di regista e attore tocca le corde della commozione, smette di essere fatto di cronaca per farsi tragedia umana, riconduce lo spettatore teatrale al senso delle cose di cui troppo spesso lo spettatore televisivo non ha contezza. Alfredino parla e vive in questo spettacolo, viene liberato dal ruolo di cammeo che ricoprì in quel film dell’orrore che fu la sua vita trasmessa in televisione.

Alessandra Pace

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